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Bulgaria, l’Europa meno conosciuta. In treno tra le valli dei monti Rodopi

Ripartiamo da Velingrad con il treno delle nove, la seconda corsa della mattina. Lasciamo il centro termale per raggiungere la più moderna linea ferroviaria Sofia-Plovdiv, sulla storica rotta dell’Orient Express.

I binari sono placidamente attraversati dalla gente locale e i bambini sfuggono senza troppa paura alla presa dei grandi, consapevoli che il vecchio treno sarà annunciato dal rumore di ferraglia e da una frenata lenta e rispettosa. Nulla succederà fino alla comparsa del capostazione, puntuale nella sua divisa un po’ sgualcita, pronto ad alzare la paletta rossa.


La “donna del latte” sta tornando verso casa con i vuoti recuperati dal giorno prima, attendiamo insieme l’arrivo del treno. Viaggiamo in senso opposto, noi verso Kostandovo, in direzione nord-est, lei verso sud. La osserverò scomparire oramai nascosta da quella nuvola di bottiglie di plastica vuote, legate come i palloncini del luna park, alcune ancora con l’etichetta Coca-Cola. Ogni mattina porta nella valle il latte fresco di mungitura, prendendo il primo treno e ritornando dopo poche ore. Un lavoro svolto ancora da diverse donne, che non potrebbero proseguire autonomamente la loro attività senza il trenino rosso che serpeggia indomito tra le valli.

Il Treno dei Rodopi è ancora un collegamento vitale per i remoti paesini rurali e raggiunge la stazione più alta dei Balcani, a quasi 1300 metri di altitudine. Una linea ferroviaria costruita tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, che ha messo in comunicazione i villaggi di montagna (ancor prima delle strade) e rappresenta un mezzo essenziale per molte persone, pur sembrandoci un romantico treno turistico che attraversa paesaggi di bellezza e natura scenografica. 

C'è una signora con la vecchia valigia, l'aiuto a salire la scaletta e ci sediamo vicine. Decido di abbandonare matita, taccuino e macchina fotografica per approcciare un dialogo stentato tra sorrisi, molti gesti e poche parole. Purtroppo nessuno di noi parla la lingua dell’altro. È una signora semplice, di modi eleganti, le maniche del maglioncino lasciano intravvedere un bordo colorato di lurex, ricordo di mode centro-asiatiche che riportano ad una geografia lontana dall’Europa.

Si viaggia con la porta aperta, accarezzando boschi di querce e pini, dentro una vegetazione mutevole, dove si infilano le curve sinuose del piccolo binario. Tra gli abeti spunta qualche guglia di minareto, siamo nelle valli dei Pomachi, i bulgari di religione musulmana. La loro identità di origine turca risale al periodo dell’islamizzazione ottomana e si è mescolata poi con impronte bulgare ed europee.

Al capolinea, a Septemviri, la stazione ricorda la rivolta del settembre 1923, celebrata come la “prima rivolta antifascista in Europa”. Una rivolta brutalmente repressa con migliaia di vittime che segnò il cammino della Bulgaria verso l’indipendenza.

I 120 chilometri percorsi dal Treno dei Rodopi sono un viaggio lento in un’Europa lontana dal turismo; oggi le motrici a vapore sono state sostituite da più moderni motori diesel di fabbricazione tedesca, ma la locomotiva rossa che si infila tra i boschi e la storia, trasmette ancora l’atmosfera retrò e il fascino del passato.

Me ne sto in silenzio, osservo, sono magnetizzata dalle rotaie sotto di me e dal rumore ritmato del vecchio treno che diventa cantilena e accompagna i miei pensieri.