Son tutti belli i bambini del mondo?
C’è una storia che arriva da lontano e racconta di montagne altissime, torrenti da attraversare, strapiombi a filo di vertigine, pentole fumanti e profumo di biscotti.
I preparativi sono traboccanti di emozione e quando la partenza si avvicina, quasi non ci sembra vero… arriveremo proprio in quel luogo immaginato e sognato a lungo, così lontano… l’Himalaya, Le Montagne, l’assoluto nelle altitudini più elevate ove l’uomo abbia potuto posare i propri piedi e portare la propria anima. Luoghi remoti, incantevoli e complessi, dove la vita non è facile e dove il clima e l’alta quota determinano le regole quotidiane di chi vi abita: uomini e animali.
Il nord del Nepal, nelle regioni delle montagne da pochi anni raggiungibili con i mezzi a motore, è un’area di religione buddhista e cultura tibetana, al confine con il Tibet. La natura è estrema e coinvolgente e vi si respira, da subito, la magia di un luogo estraneo, in un infinito lontanissimo da noi, ma che sembra avvicinarsi al divino. Uomini e donne sono affaccendati con gli animali, nella semplicità del quotidiano, e nella preghiera; i bambini sono molti, vivaci, sorridenti e con i visi bruciati dal sole dei 3.900 metri di Lo Manthang, la capitale del piccolo regno himalayano del Mustang, chiuso tra montagne invalicabili.
Siamo partiti carichi di attesa, di doni, di abbigliamento pesante per la paura del freddo, di aspettative… siamo arrivati in questo piccolo e fiabesco paesino cinto da mura antiche e fino a pochi anni fa raggiungibile solo a piedi, o a cavallo. Voglia di scoprire, di conoscere, di incontrare. Necessità di coinvolgere i nostri piccoli in una avventura lontana, e si sa… l’empatia dei bambini ha il potere di annullare ogni distanza.
Appena quattrocentocinquanta chilometri separano Kathmandu, la capitale del Nepal, da Lo Manthang, ma in auto ci vogliono tre giorni interi di viaggio. L’ultimo tratto, costruito recentemente, attraversa montagne, fiumi, alti passi, e permette l’accesso anche alle jeep, alle moto e qualche sgangherato pullmino. Attualmente è poco più di un viottolo sterrato, dove gli strapiombi, a volte, fanno tenere gli occhi chiusi per la paura e dove bisogna guadare torrenti e fiumi dal letto pietroso. L’ultimo passo, adorno di bandiere di preghiera che volano instancabili verso il cielo a recitare le loro invocazioni, si apre sulla valle che racchiude il minuscolo paese. Vecchi muri e chorten pitturati di arancione segnano la via buddhista verso monasteri antichi e una cultura tibetana salvaguardata dall’inaccessibilità di questo luogo e dal protettorato indiano che ancora impedisce una massiccia presenza cinese, nonostante il confine con la Cina disti solamente sette chilometri, sull’unica strada realizzata con criteri costruttivi ottimali. Sul confine c’è un grande scheletro di muratura che attende di essere ultimato e, a breve, segnerà l’accesso verso la grande Cina, con la quale il Nepal condivide in questa zona il plateau tibetano, una spettacolare geografia di montagne stratificate dai mille colori, con formazioni geologiche che rivelano l’origine della creazione della catena himalayana. Un’area immensa che coinvolge Nepal, Cina, Pakistan e nord dell’India. Qui svettano gli ottomila del nostro Pianeta, qui le montagne (si chiamano “montagne” solo i picchi che superano i 5000 metri!) diventano sacre e assumono un potere divinatorio, accogliendo il pellegrinaggio dei fedeli che accorrono a rendervi omaggio, a porgere le fatiche del loro lungo e faticoso viaggio. L’idea tutta occidentale di conquistare questi luoghi, qui si capovolge… sono le montagne a conquistare chi vorrà avvicinarsi al loro cospetto. Anche noi rimaniamo abbagliati da tanta bellezza e potenza: il privilegio di ammirare queste vette imbiancate fa fluire dentro di noi un’energia di purezza e sacra maestosità. Un senso superiore di poter raggiungere il cielo, di poter entrare in contatto con forze soprannaturali e divine.
È una vita faticosa quella che incontriamo. Ma la serenità sembra spandersi nell’aria, la calma e i ritmi arcaici acquietano ogni animo, la sacralità dei luoghi si respira ovunque: in ogni angolo le pietre mani riportano invocazioni e mantra, le bandiere di preghiera svettano copiose ad ogni passo. Le donne lavano panni e stoviglie nel piccolo ruscello che scorre attraversando il paese e offrendo il grande dono dell’acqua. La stessa acqua che serve ad un barbiere, ai bambini per giocare, agli animali per abbeverarsi. Quando non arriva con la furia devastatrice del monsone, l’acqua è vita: in quel rivolo che attraversa la strada, scorre l’esistenza di questo popolo. È una vita difficile, complessa ed essenziale, che quasi si paralizzerà con l’arrivo dell’inverno.
Percorriamo i vicoli stretti, sfiorando muri antichi, fiancheggiando monasteri dai quali riecheggiano preghiere corali di monaci. Sono le puje, un rituale di offerta, officiato da mattina a sera, in questi giorni di Festival del Tiji. Monaci con le tuniche color granata camminano a passo rapido per rientrare in preghiera dopo una breve pausa, riprendono i loro posti, a gambe incrociate proseguiranno la recitazione dei testi sacri che, per l’occasione, saranno esposti e visibili al monastero di Tsarang. Che emozione trovare i tessuti di seta spiegati e i libri in vista! Poterli ammirare da vicino è un momento prezioso. Tamburi dal suono cupo, le lunghissime trombe e i cembali intercalano la recitazione dei mantra, in un ritmo ripetitivo e quasi ipnotico. Possiamo parteciparvi anche noi, in silenzio ci sediamo in terra, sulle stuoie al centro della grande sala. Alcuni piccoli monaci suonano le enormi trombe cerimoniali, sembrando ancora più piccoli vicino ai lunghi strumenti. Un suono greve avvolge la sala, colpi di tamburo cadenzano la preghiera. La nostra presenza porta qualche distrazione e qualche sorriso di curiosità, i bambini sono bambini ovunque e il gioco diventa spontaneo e necessario.
E proprio dai viottoli stretti, dove i raggi di un sole bruciante si infilano potenti, arriva un vocìo che ci richiama incuriositi. È la scuola di Lo Manthang, dove ci accolgono un serio direttore e una fila di bambini sorridenti. Non hanno a disposizione molte cose, i vestitini sono logori e le scarpe non sempre della giusta misura, ma la scuola sembra discretamente organizzata, con piccole aule divise per età e il sorriso dei bambini porta un alone di felicità. Quanta distanza tra i nostri e questi piccoli, quante differenze così evidenti e toccanti. Basta un attimo per comprendere la fortuna di chi vive dalla nostra parte del Mondo.
Abbiamo coinvolto i nostri bambini in questo viaggio, con la convinzione che le basi di un futuro più giusto le possiamo determinare noi adulti, attraverso esempi che permettano agli uomini di domani di diventare persone di cuore, capaci di fare le scelte migliori. Per settimane abbiamo costruito un ponte tra la scuola dei nostri figli e la scuola nepalese. Con l’aiuto delle maestre sono stati preparati dei disegni e dei pensieri che ogni bambino italiano avrebbe potuto condividere con i bambini del Nepal, immaginando una geografia lontana raggiungibile attraverso il nostro lungo viaggio. Abbiamo portato nelle valigie questi piccoli doni e li abbiamo poi distribuiti alla scuola himalayana, convinti che l’empatia verso il nostro prossimo nasca proprio dai gesti semplici di ogni giorno.
Ci avviciniamo all’inverno, una stagione ostile sia per gli uomini che per gli animali, ad altitudini come quelle di Lo Manthang. I bambini saranno trasferiti più a valle e sarà necessario affrontare la spesa per il viaggio. Guardiamo quegli occhioni scuri, quelle gote color delle ciliegie, il legame nasce spontaneo. Un legame che ci porta lontano, in questo piccolo e remoto angolo del pianeta, e ci fa sentire partecipi di qualcosa di più grande del nostro quotidiano. Siamo anche noi uomini di questo stesso mondo, quelli sono anche i nostri figli. Decidiamo di impegnarci fin da subito, vogliamo pensare che una piccola goccia di noi fluttui leggera, ed utile, verso altitudini fino ad oggi sconosciute.
E, sì, il punto di domanda nel titolo lo volevo proprio scrivere. Mi obbliga a fermarmi. E riflettere.
Ma, la storia, come prosegue?
Il legame con i bambini del Mustang ha superato l’inverno e il desiderio di seguire un tratto della loro vita, è una promessa che ci siamo fatti. Come? Potete immaginare di seguire l’aria profumata di vaniglia e di caramello… ecco, non serve conoscere l’indirizzo per arrivare alla “Biscotteria” dove la nostra super chef Rita sembra emergere da montagne di farina e pentoloni fumanti… le sue marmellate, di frutta, amore e fantasia, sobbollono profumando l’aria di gusti estivi da ritrovare poi durante l’inverno, i primi 50 chili di biscotti (tutti da assaggiare!) già riposano nei sacchetti festosi e le deliziose e irrinunciabili mandorle pralinate sono sottochiave per evitare che spariscano ancor prima di arrivare a destinazione…
Ivan è il suo elfo fedele, che scrive, taglia, infiocchetta, consegna e spedisce le montagne di pacchetti che i sempre più numerosi amici hanno deciso di donare attraverso questo cerchio di generosità… Tutto è pronto per il Natale!
I progetti, si sa, nascono spesso da sogni e notti passate a contar pecore (o dromedari, o stelle nel cielo!), dando nuova forma a piccoli semi di solidarietà.
Dal 2019 le prime piccole gocce nutrono l’oceano delle necessità, aiutando il trasferimento invernale dei bambini di Lo Manthang.
Natale 2021: il dormitorio della scuola brilla di nuovi colori e calde coperte.
Natale 2022: una grande tivù regala un collegamento con il mondo nelle lunghe sere invernali, richiamando non solo i bambini, ma tutto il villaggio!
Natale 2023 to be continued…